Una delle recensioni più difficili perchè quando si parla di mostri sacri le opinioni vengono maggiormente vivisezionate, come se si scrivesse una critica ad un qualcosa realizzato da Kubrick, tuttavia non sono tutte rose e fiori in questo film.
Ettore Scola racconta Federico Fellini, nell'ultimo dei film che dirigerà, scomparirà infatti soltanto 3 anni dopo. Il racconto è come lo definì lui stesso in una intervista "un album di fotografie", di fatto una sorta di docufilm, piuttosto originale, dopo si ripercorre la vita del "maestro", come veniva appellato, attraverso i fatti salienti che la contraddistinsero, usando sia reperti audio e video dell'epoca, che ricostruzioni con attori ed una voce fuori campo ad amalgamare il tutto.
Per non aggiungere complicatezza ad una figura, quella felliniana, già piena di sfaccettature, ed ad una ricostruzione cinematografica già sufficientemente articolata, si potrebbe fare un semplice elenco di quello è sembrato positivo e negativo al suo interno.
Sicuramente come detto è un riassunto fatto in modo particolare, unendo molte delle altre arti, oltre a quella cinematografica, come la pittura ed il teatro. La stessa scena iniziale, senza fare spoiler, sembra appartenere più ad un teatro di strada che al cinema, strada tema molto caro a Fellini, confermato e dipinto in molte altre scene da Scola, compreso un incontro con un madonnaro.
Viene anche dato, giustamente, risalto, al "Teatro 5", un po' la casa di Fellini, dove, all'interno di Cinecittà, ha girato gran parte delle scene delle sue pellicole e che è stato poi a lui dedicato dopo la sua scomparsa.
Positiva anche la scelta della transizione dal "bianco e nero" al "a colori", durante la narrazione. Perchè di fatto cosi accadde, al tempo si diffuse questa nuova tecnologia, ed è cosi che giustamente Scola ha valorizzato questo aspetto. Scelta semplice ed efficace, o forse semplicemente obbligata.
Di contro però..
Tutto questo distacco dai canoni classici di una narrazione lineare, rendono questo "album fotografico" un po' slegato. Proprio come accade appunto ad un album, dove per andare avanti non si gira una manovella che avvolge una pellicola, ma si va a scatti, saltando da una pagina all'altra.
La stessa satira, chiave della vita del "bugiardo cronico" Fellini, elemento comune di inizio carriera e leitmotiv di essa, sia per Scola che Fellini, nelle scene al Marco Aurelio, giornale per il quale entrambi, in momenti diversi, scrissero, non colpisce particolarmente.
Stupisce anche la grande assenza di Giulietta Masina, compagna di una vita e mezza mela di Federico Fellini, che nel film appare soltanto in pochi documenti video dell'epoca, senza avere il vero ruolo di primo piano sia nella vita personale che cinematografica felliniana, che lo stesso Fellini le assegnò.