sabato 29 gennaio 2022

I ragazzi di Via Panisperna - 1988 #Recensione

I ragazzi di Via Panisperna è un docufilm sulla vita appunto di un gruppo di ragazzi, poco più che ventenni, con la grande passione per le materie scientifiche, chi per la matematica e chi per la fisica, ritrovatisi tutti, non per caso, ad insegnare o ad essere allievi all'istituto di fisica dell'università di Roma, al civico 90 di Via Panisperna. 

Il film è della fine degli anni 80, ma i fatti narrati risalgono agli anni 30, momento in cui, principalmente per volere del direttore dell'istituo, Mario Corbino, vengono radunate poche, pochissime, menti brillanti, per essere i primi allievi di una nuova cattedra nel mondo della fisica, quella di fisica nucleare, presieduta dal già stimato Enrico Fermi. 

 
La trama ripercorre i fatti salienti delle vite personali, ma soprattutto quelli lavorativi, dei vari protagonisti, ed è difficile raccontare gli accadimenti senza fare spoiler di quelle che saranno, e sono state di fatto, le loro scoperte accademiche. Tuttavia si puo dire quanto sia stata chiave, tanto quanto quella di Fermi probabilmente, la figura di Ettore Majorana, siciliano figlio di benestanti trasferitisi a Roma, che nel suo essere combattuto interiormente da malesseri esistenziali e dubbi morali sulle eventuali applicazioni pratiche delle loro scoperte, riesce a dimostrare di spiccare per intuito, persino tra persone che rappresentano la creme dell'intelletto scientifico della nazione. 
 
 
 
 
Molto del film come detto, ruota attorno ad esperimenti in laboratorio ed a scoperte o presunte tali, tuttavia questo aspetto, ne tantomeno l'argomento in se e per se, devono far credere ad una pellicola difficile da seguire concettualmente, o pesante. 
Per quanto abbia una sua innegabile lunghezza, 2 ore per la versione uscita nelle sale, e 3 per quella trasmessa in tv successivamente (in due puntate), ha la caratteristica di essere ben fatto, di scorrere bene, di non avere picchi di suspence e poi momenti morti, è infatti molto lineare, costante, sia nel ritmo, che nei dialoghi,sia nei tagli che nei colori. 
 
I protagonisti sono tutti credibili nel ruoli che ricoprono, sia fisicamente che la loro recitazione. Le stesse atmosfere e sonorità del film non stancano o appaiono fuori luogo. Nel cast sono presenti anche Virna Lisi, e due giovanissime Laura Morante e Sabina Guzzanti (con una piccola parte ad inizio film).

In sostanza è una visione interessante, che non dovrebbe far rimpiangere il tempo dedicatogli, e che permette quantomeno, di informarsi in maniera abbastanza fedele riguardo ad un argomento e delle scoperte che hanno cambiato per sempre la vita di tutta l'umanità.





mercoledì 26 gennaio 2022

Quando Simon Pegg basta - Run fatboy run (2007) GBR #Recensione

 "Run fatboy run" è una commedia britannica del 2007, con protagonista il sovracitato Simon Pegg, che in questo caso, da solo, come si suol dire, vale il prezzo del biglietto.

Per intenderci, non un biglietto troppo caro, si tratta pur sempre di una commedia comico-sentimentale senza troppe pretese, che comunque è riuscita a triplicare al botteghino il proprio non troppo esiguo budget di 10 milioni di dollari.
La storia è quella, vista e rivista, di un infantile ed inconcludente giovane padre, che perde l'amore della propria vita proprio per questa sua sindrome di Peter Pan. Il resto del film è semplicemente una continua ricerca di riconquistarlo.
Tuttavia, se pur alcune scene siano prevedibili, banali o fin truppo surreali, la trama tiene sufficentemente attaccati allo schermo da voler vedere come vada a finire, e ve ne sono moltissimi di elementi, piuttosto originali, divertenti e sicuramente coerenti con la trama, i personaggi e gli intenti della commedia, che la rendono piacevole.

 
Il film è infatti molto ben amalgamato, sia negli aspetti appena citati che in quelli registici, come i colori, le inquadrature, le ambientazioni, non vi sono scenari o situazioni che facciano scattare la derisione per internderci, come può accadere per esempio in alcuni film dove un effetto speciale è davvero tragicomico e non si capisce come possa essere stato lasciato in post produzione.
Al timone della cinepresa, come forse non molti sanno, un già navigato David Schwimmer, che già ai tempi della sua partecipazione decennale come "Ross" in Friends, aveva dato prova di avere passione e capacità nel campo della regia, tanto da dirigere diversi episodi della serie stessa durante le ultime stagioni. 
 
Torniamo a Simon Pegg, luce di questa commedia. La sua presenza, le sue espressioni, la sua recitazione, sono azzeccatissime per tutto il film. Niente da candidare agli Oscar, ma comunque una performance generale adattissima a quell'atmosfera che si voleva creare.
 
 
Altrettanto elogiabile il resto del cast, con una menzione particolare al cattivo di turno, Hank Azaria, conosciuto nel mondo aglosassone più per la sua attività da doppiatore, in particolare per far parte da anni del cast di doppiaggio originale dei Simpsons, che nei panni dell'egoista pomposo uomo d'affari in carriera, ottiene bene il risultato di rimanere abbastanza sgradevole da far tifare per il protagonista.

Per finire, la comicità, la vera vincente di questa pellicola, lo humour british in tutta la sua interezza e semplicità, niente di urlato o erotico, niente di drammatico o fuori luogo, ma d'altronde, come fedele compagno di avventure di vita del protagonista, era stato arruolato niente di meno che Dylan Moran, eccezionale comico Irlandese di professione.




sabato 22 gennaio 2022

Quando Simon Pegg non basta - Paul (2011) - #Recensione

Partiamo proprio da lui, che ci ha abituati a performarce piu divertenti ed/in pellicole migliori.
Simone Pegg, nome d'arte Simone John Beckingham, è un comico ed attore britannico, protagonista di commedie d'oltremanica molto ben riuscite come Run Fatboy Run (diretto da David Schwimmer), ed è stato lui, forse piu di altri elementi, ad attrarre l'occhio di un appassionato di cinema verso la pellicola. Tuttavia, la sua presenza e la sua mimica non sono bastati a salvare questa collaborazione anglo-americana, che finisce per prendere un po' il peggio dei due mondi. 
 

La storia è quella di un alieno, tale Paul (personaggio generato al computer, con la voce di Seth Rogen), che piove sulla terra andando a sbattere rovinosamente con la propria navicella spaziale.
Il film prosegue spostandosi temporalmente di oltre mezzo secolo, ed ecco che appaiono i due protagonisti, di cui uno il sovracitato Simone Pegg, nei panni di due nerd britannici, un po' spaesati, in giro per conventions a tema per tutti gli Stati Uniti.
 
  
 
Durante il loro girovagare si imbattono in Paul, in quel momento in fuga da agenti governativi e dopo un iniziale spavento lo caricano a bordo del loro appena noleggiato camper e continuano la loro fuga/gita.
Il resto è tutto un insieme di peripezie poco avvincenti, poco comiche e poco originali, con l'aggiunta anche di qualche spruzzata di cattivo gusto qua e la.

E' un film molto rumoroso, chiassoso, urlato.. molto esplicito, ovvio e pesante.. lo humor british si perde nelle decine di battute poco raffinate del film, e la capacità degli americani di creare scene di azione, di suspence, di effetti speciali, si perde altrettanto nella lentezza e banalità della pellicola. Insomma, come detto, il mix dei due stili, in questo caso, proprio non ha funzionato, si sono annullati le potenzialità a vicenda. 

Rimane un cast di attori non protagonisti di tutto rispetto, che per di più hanno sfoggiato prestazioni più che buone in questo film, da Siguorney Weaver (molto azzeccata come scelta visti i suoi trascorsi nella saga Alien), Jason Bateman, Jeffrey Tambor, Bill Hader, etc.. 

Questi nomi spiegano in parte lo strabiliante, per il film che ne è uscito, budget di 40 milioni di dollari, ma non permettono di spiegarne l'ancor piu sorprendente risultato al botteghino, dove ha incassato addirittura 100 milioni di dollari.

In sostanza un film piuttosto volgare, probabilmente classificato come non adatto ai minori di 14 anni in varie parti del pianeta, ed allora sembrerebbe venire meno quello che durante la visione viene da pensare come unico pubblico a cui potesse essere diretto, quello dei piu giovani.
Ad ogni modo un pubblico sembrerebbe proprio averlo avuto, cosi tanto da smentire quasi tutte queste considerazioni.
E lo stesso Simone Pegg apparentemente avrebbe dichiarato negli anni, di essere interessato a prendere parte ad un eventuale sequel, che per fortuna al momento, ci è ancora stato risparmiato.

giovedì 20 gennaio 2022

Miracolo a Sant'Anna - (2008) #Recensione

Il miracolo che non c'è stato, nè nella realtà, nè al botteghino.. sarebbe appunto potuto essere soltanto tale, un miracolo, se questo film avesse ricevuto plausi da pubblico e critica. 

Si tratta della rivisitazione molto romanzata, dei fatti storici avvenuti nell'agosto del 1944, in un piccolo paesino dell'alta Versilia, Santa'Anna di Stazzema, dove le truppe naziste premeditarono ed eseguirono un eccidio di proporzioni enormi, quasi 600 persone furono trucidate per intimidire le popolazioni locali e troncare i loro rapporti con le frange partigiane.

                                 

La trama è la storia, nella storia, di 4 militari americani di colore che si perdono durante una missione sulle montagne locali e che riescono a sopravvivere e rimettersi in contatto con le proprie truppe per farsi venire a salvare, grazie anche alla collaborazione ed interazione spesso anche intima, con la gente del luogo. A ciò si sommeranno singoli incontri rivelatori per molti dei protagonisti, alcuni sotto forma di amori, altri sotto forma di "adozioni" di persone trovate lungo il proprio cammino. Il tutto condito, specialmente all'inizio ed alla fine di espedienti fin troppo banali per collegare i fatti alla narrazione.. classici della cinematografia, ma gratuiti e scontati in questo caso. 

Difficile trovargli un aspetto che abbia funzionato, partendo dal "revisionismo" storico di Spike Lee, che sceglie di prendersi notevoli libertà nella riscrittura della storia, di per se la cosa non avrebbe grandi controindicazioni, pur sempre di cinema stiamo parlando, se non fosse che alla base, questa opera dovrebbe essere un docu-film. Questa è una delle accuse piu forti mosse al regista, tanto da portare la gente del luogo a scendere in piazza per protestare, particolarmente contro l'idea, non supportata dalla letteratura storica, che ci fosse stata della collusione tra partigiani e nazisti, tanto da far apparire l'eccidio stesso una rappresaglia, anziché una strage premeditata. 


Non colpisce nemmeno la recitazione, nonostante fossero stati presi molti attori di buon livello e già conosciuti sullo schermo, sia per quanto riguarda quelli venuti da oltreoceano, che quelli nostrani. La stessa presenza di Pierfrancesco Favino, che poi nel resto della sua carriera si troverà spesso a lavorare per dei docu-film della Rai per la televisione, (anche con ottime performance personali) lo fa sembrare, il film, ancor di più appunto un'opera con poco budget fatta per il cinema infrasettimanale italiano in televisione, che un quasi colossal da 50 milioni di dollari, quale è stato.

Anche la parte di mixaggio audio video, e qui Spike Lee viene chiamato in causa inevitabilmente in prima persona, non appare per niente accattivante, proprio non all'altezza dello stesso regista che ci ha abituato a molto meglio. Quasi nessuna scena crea una vera e propria tensione durante la visione, i personaggi risultano poco tridimensionali ed è difficile appassionarsi a qualcuno di loro ed alle sue vicissitudini singolarmente.

In sostanza sembra che a Spike Lee interessasse piu l'aspetto di integrazione ed interazione raziale all'interno delle truppe americane, come simbolo ed analisi delle problematiche che viveva l'america in generale sotto quell'aspetto in quegli anni, invece di trattare, rivivere, narrare, le vicende storiche di un periodo, la seconda guerra mondiale, e di un momento, quello dell'eccidio di Sant'Anna, che per l'Europa e l'Italia, avevano tutt'altre emozioni e sfumature. Per quanto si possa concedergli che l'aspetto raziale fosse chiave anche nell'ascesa e nelle pratiche naziste, non si puo prescindere dal fatto che il film ruota intorno a dei giorni specifici ed un evento molto particolare, che non sono stati raccontati accuratamente, recitati degnamente, e forse nemmeno rispettati sufficientemente. 


lunedì 17 gennaio 2022

Nuovo Cinema Paradiso (1988) - #Recensione

Difficile nel caso specifico esporsi nel dire che qualcosa sia andato storto nella realizzazione di questa pellicola. Il film è eccellente, eccezionale se si vuole, l'Oscar come miglior film straniero del 1989 ne è una delle prove.

La trama non è altro che l'evoluzione, fisica e mentale, del protagonista, Salvatore Di Vita, sin dai suoi primi difficili anni nella Sicilia degli anni 50, dove scopre per caso di avere una vera e propria passione, e successivamente un vero e proprio talento, per il cinema, passando per le classiche vicissitudini adolescenziali ed i primi amori, fino agli aspetti della sua vita da adulto, condizionati in positivo ed in negativo dagli eventi del passato, in quella Sicilia da dove, appena maggiorenne, era scappato e non vuole più tornare. 

Per molti degli attori presenti la performance si puo definire eccezionale a livello recitativo, quella di Philippe Noiret nei panni di un addetto alla cinepresa all'interno di un cinema di paese, è ricolma di malinconia, proprio quanta ne deve avere il suo personaggio. Il Salvatore Di Vita bambino, interpretato da Toto (Salvatore) Cascio, al suo esordio cinematografico, buca lo schermo con disinvoltura e con espressioni che ne rendono le scene con Noiret, momenti di una tale naturalezza che scorrono senza accorgersene. 


La stessa performance di Leo Gullotta, come caratterista in questo caso, è eccellente, pensare che fosse capace di essere tutto ciò è di difficile conciliazione con i suoi anni al Bagaglino, non certo luogo per un umorismo che fa pensare. Da sottolineare come il film fosse proprio nella sua terra, la Sicilia, ed abbia dunque avuto la fortuna che tocca a pochi, di essere profeta in patria.

C'è una storia nella storia all'interno del film, ossia la storia del cinema, a livello pratico, di come si sia evoluto nei suoi aspetti tecnici di gestione delle pellicole e nei suoi aspetti morali, liberandosi di dettami ecclesiastici ormai non più rispecchianti la vita di tutti i giorni, ed è un capolavoro. Attrae lo spettatore e lo lascia incollato allo schermo a voler sapere quale sarà il prossimo passo, il prossimo scalino di una scala che si accorge di aver sempre dato per scontata, e della quale scopre di voler sapere, nonostante sappia già dove porti, ovvero alla modernità del digitale e di un mondo fatto di esperti del settore, mentre prima erano in pochissimi a conoscere il mestiere.

Ma il film è anche una storia d'amore, perché questo usa e richiede l'Italia, tra il protagonista Salvatore e la sua Elena, amata ma poi perduta e mai più ritrovata, giovani ed innamorati, con tutta la vita davanti, ma era soltanto la punta dell'iceberg dell'amore, di quello ancora più profondo, quello che aveva per il cinema, che a differenza di quello umano, riesce nel film a trionfare ed a cambiare la vita di molti, anziché solo quella dei due protagonisti come sarebbe probabilmente stato altrimenti. 

martedì 11 gennaio 2022

La Grande Mela nella cinematografia. #GeoCineFacts

"Grande mela" è un soprannome che appare per la prima volta associato alla città di New York in un libro dei primi anni del 900, per poi diventare popolare e diffondersi dagli anni 20. Con tale nome ci si riferisce esclusivamente alla città di New York, che per esteso andrebbe chiamata N.Y.C. (New York City), cosi da evitare confusione con lo stato di New York, all'interno del quale la città si trova.

Dopo questa precisazione per non confondere i vari termini e specificare che si parla esclusivamente del territorio della città di New York come set, vediamo come è stata questa relazione tra questo studio a cielo aperto e la cinematografia : 


Di per se, il binomio tra la città ed il cinema sarebbe un argomento fin troppo vasto, perciò cerchiamo di trattarne un aspetto specifico, i suoi 5 "quartieri" principali, o meglio, le 5 giurisdizioni, per gli americani, Borough, in cui è suddivisa.

Perché fare questa penta-analisi della città e non trattarne luoghi specifici legati alle pellicole più famose?, perché spesso sono proprio questi 5 borough ad essere presi in considerazione singolarmente nei film, più che la città nel suo insieme e sono essi stessi sinonimo di particolari e caratteristiche condizioni di vita, classi, e risorse che le contraddistinguono.

Non capita inoltre raramente che queste zone vengano confuse tra loro, o che un film ambientato ufficialmente in una, sia invece girato in un'altra. Uno di questi casi è il film "Bronx", del 1993, diretto ed interpretato da Robert De Niro, che nonostante il titolo, è girato quasi interamente nel Queens.

I nomi dei 5 distretti suonano tutti familiari anche ai meno appassionati di cinema : Brookling, Bronx, Manhattan, Queens e Staten Island, con al loro interno alcuni quartieri estremamente noti a livello cinematografico, come Harlem, Little Italy, China town, che si trovano tutti all'interno dell'isola di Manhattan.

Tutti con le loro peculiarità, e tutti con numeri demografici al pari di città vere e proprie, hanno rappresentato e caratterizzato pellicole di tutte le generazioni. In alcuni casi per certe loro icone architettoniche, come il caso di Brooklin, dove il ponte è attraversato o inquadrato in innumerevoli film, anche solo come riferimento alla trama, come accade in I,Robot, pellicola con Will Smith di inizio anni 2000.


In altri casi, sono borough o quartieri che si sono contraddistinti per la loro pericolosità in certi periodi storici, come il Bronx, o per la loro forte connotazione etnica come il caso del Harlem, con l'etnia afro-americana. Nel film Die Hard 2, girato appunto in città, Bruce Willis è costretto, per via della trama, a girare per il quartiere di Harlem, con un cartello con su scritto "I hate Nig**s!" (nella realtà il cartello riportava "I have everybody"), il tutto scatenando appunto diverse reazioni da parte degli autoctoni, ma non cosi estreme come sarebbe accaduto se il cartello avesse riportato proprio la frase a sfondo raziale che si vede nel film.

Poi c'è Manhattan, centro economico e polo finanziario non solo della città stessa, ma di tutti gli stati uniti d'america. E' un'area ad altissima densità abitativa, nonché una delle zone con la maggior presenza di grattacieli al mondo. Anch'essa molto esplorata nel suddetto film, nel quale ci sono scene d'azione girate a Central Park, inseguimenti per varie strade, esplosioni della metro e l'iconico furto alla Federal Reserve. 

Central Park stesso, letteralmente "Parco centrale", un appezzamento verde di notevolissime dimensioni nel cuore della città, è presente in innumerevoli pellicole. Curioso è invece il caso che lega la serie televisiva FRIENDS, a tale parco. Uno dei set scenografici principali è proprio un cafè in zona central park, denominato Central Perk, gioco di parole con il verbo per realizzare il caffè, che in realtà non è altro che uno studio in legno realizzato a Los Angeles, dove si sono svolte per tutti e 10 gli anni le riprese, lontano dunque migliaia di miglia dal vero parco, anziché esserne adiacente. 

Ed infine c'è Staten Island, anch'essa considerata parte bene della grange mela, un po' più defilata dalla caoticità delle zone ricolme di grattacieli, ma pur sempre parte integrante della città. Tale area è stata il set di gran parte delle più memorabili pellicole riguardanti proprio gli Italo-americani, essendo state girate li molte scene di Goodfellas, di The Irishman e di Il padrino. La storica villa della fittizia famiglia Corleone, si trova infatti proprio in quel distretto. 


domenica 9 gennaio 2022

One child nation - (2019) #Recensione

"One child nation", è un documentario su di un argomento piuttosto complesso, che tutti conosciamo "di nome", di cui tutti sappiamo di che cosa si tratti in teoria, ma del quale della sua pratica sappiamo ben poco. 
Stiamo parlando del fatto che la Cina, abbia limitato per più di 30 anni, la libertà di riprodursi ai propri cittadini, imponendo una politica del "figlio unico" obbligatoria, e facendo rispettare questa regola con l'ausilio di una insistente propaganda e ricorrendo spesso anche alle cosi dette maniere forti.

Uno dei paradossi di tutta questa parte di storia Cinese, è come ci fosse poca consapevolezza e forse anche poco interesse al di fuori del paese per quello che stava accadendo al suo interno su questo fronte, ma come ce ne fosse ancor meno (di consapevolezza) tra i suoi stessi cittadini, e su questo il documentario fa un buon lavoro nel mostrare la cosa sia da dentro che da fuori i confini nazionali.

L'intera storia della politica del figlio unico in Cina è tutta una unica gigantesca vicenda trentennale di diritti umani basici violati, di istituzioni corrotte e falsificatrici, di imposizioni dall'alto che costringevano a battaglie quotidiane tra poveri, di immani sofferenze di figli e famiglie, divisi, e lasciati al loro destino.


Non è dunque soltanto un documentario su che cosa fosse in quegli anni la politica del figlio unico, ma un tentativo di mostrare quali e quanti altri meccanismi negativi ed esponenziali abbia essa innescato di conseguenza. Come l'abbandono dei figli in strada, o l'inconsapevole adozione da parte di coppie straniere di bambini creduti orfani, ma che in realtà erano stati abbandonati consapevolmente e nolentemente, dai loro stessi genitori. 

E' un documentario ricco di argomenti, che apre un parecchie parentesi e cerca di chiamare in causa un sacco di contributi esterni, tuttavia sembra più rincorrere se stesso che dare dei veri e propri contorni a quello che cerca di dire. In sostanza, per quanto i contorni di tutta la vicenda non possano essere del tutto delineati perché non chiari a nessuno, rimane un po' un senso di incompletezza nella narrazione, tanto che se ne esce in parte più confusi di prima. 

Non è forse dunque un'opera che possa essere presa come chiarificatrice, ma è certamente un buon tentativo nel voler far vedere e cercare di analizzare che cosa possa essere stato giusto e che cosa possa essere stato sbagliato, nella storia Cinese recente, dalle quale elaborazione, le nuove generazioni
possano trarre beneficio, nel non commettere gli stessi errori. 

mercoledì 5 gennaio 2022

Il bar di Chernobyl (2016) - #Recensione

 "Il bar di Chernobyl" (titolo originale "Chernobyl's cafè) è un documentario francese realizzato nel 2016, nell'anno dell'anniversario dei 30 anni dal disastro che colpì quella zona dell'Ucraina, ossia l'esplosione nel reattore numero 4 della centra nucleare che li si trova (e che è incredibilmente ancora in funzione), ma che afflisse consequentemente indirettamente il mondo intero.

Forse non il più imparziale del documentari, va detto. Non che sia un requisito essenziale, ma si nota comunque dal tono fin dall'inizio e nel caso ve ne fossero ancora dei dubbi, viene confermato dalla frase finale. 


Si tratta di una vera e propria gita turistica nelle terre del disastro, fino ad arrivare quasi a toccare il nuovo sarcofago in costruzione che andrà a soppiantare quello vecchio costruito nei giorni successivi al disastro. 
Tutto questo, per quanto gran parte del mondo non ne fosse certamente al corrente, è fatto in maniera del tutto legale, in totale tranquillità, come ogni altra gita di piacere, perché il turismo, organizzato, non solo è possibile in quelle zone, ma è anche in forte crescita.

Il documentario si concentra in particolare sul bar all'interno delle piccola cittadina di Chernobyl, come elemento dal quale si irradia la vita nella città. Punto di riferimento per il piccolo paese, ossia per i lavoratori della centrale e per i militari che controllano gli accessi, ma anche appunto per turisti di ogni tipo, ed opportunità lavorativa per la gente del posto, che dopo alcune iniziali titubanze si dichiara molto soddisfatta di far parte da anni dello staff del bar. 


Non vi sono scoperte in questi 50 minuti, nessuno scoop da renderlo unico, ne ci sono inquadrature o elementi che non siano già stati mostrati infinite volte in questi 30 anni, tuttavia sorprende molto come tutto si svolga in un completo stato di accettazione e tranquillità. La vita c'è in quelle zone, è tornata, e sembra crescere, perché come spiega bene il documentario, le nuove generazioni hanno perduto la visione di tali luoghi e dei fatti accadutivi, come elementi terrificanti, lasciando spazio ad immagini e sensazioni, ricevute soprattutto dai videogiochi, letteralmente, dove quei luoghi e quegli scenari hanno spopolato recentemente, di un qualcosa di intrigante. Facendo si che ci sia una forte spinta a questa tipologia di turismo, spesso definita come "turismo macabro" o "turismo nero", senza una razionale connessione alla realtà del fatti, dei rischi e delle sofferenze che in quei luoghi le persone hanno dovuto subire.

In conclusione, non si può che consigliarlo, non è certo un qualcosa di memorabile cinematograficamente, ma è comunque informativo, ed aggiornato, come un buon articolo di giornale ad immagini. 

domenica 2 gennaio 2022

50 anni di "Lo chiavamano Trinità" - #CineBday

Sono incredibilmente già passati 50 anni, dall'uscita di quello che è ai fatti, uno dei più grandi film a livello di incassi della storia del cinema Italiano. E pensare che era un genere, degli attori, ed una pellicola, che non avevano pretese. 

Partiamo dal genere, si parla di una novità, che fu poi ironicamente ma appropriatamente definita "Fagioli western", ossia una sorta di ripresa ma con taglio più a commedia e più adatta a tutta la famiglia, degli al tempo ben più famosi "Spaghetti western", molti dei quali firmati da registi di grandissimo valore come Sergio Leone, che erano già a loro volta una ripresa nostrana dei film Western classici Americani. 


Appurato che il genere non si candidasse in partenza ad essere leader di niente, vediamo se gli attori si ritenessero da oscar già da prima delle riprese. Non era appunto assolutamente il caso, la storia dei due personaggi chiave, una delle coppie comiche d'oro del cinema Italiano è ben nota, Terence Hill (Mario Girotti) e Bud Spencer (Carlo Pedersoli), erano altro nella vita, e se pur Mario Girotti stesse tentando di trovare la sua strada nel mondo del cinema, Pedersoli veniva da un passato di successo nel campo del nuoto, ed era finito davanti la cinepresa senza realmente alcuna pretesa.

Il caso volle che i due si ritrovassero sul set insieme, quello di "Dio perdona.. io no!" quasi esclusivamente per tutta una serie di coincidenze, tra le quali la più nota e più eclatante, fu quella che a causa di un infortunio fu escluso l'allora scritturato attore protagonista che costrinse il regista a reclutare all'ultimo minuto Girotti. Similarmente, anche Pedersoli non doveva essere presente, per poca competenza nel ruolo ed una richiesta di compenso troppo alta, ma alla fine fu scelto quale "male minore", ed il risultato della pellicola fece capire subito che sarebbero stati una coppia vincente.

Passarono attraverso un'altro paio di film, fino a giungere al suddetto "Lo chiamavano Trinità" dove furono protagonisti e mattatori e che riscosse un successo enorme, battuto soltanto da quello ancora più stupefacente del seguito, uscito l'anno successivo "Continuavano a chiamarlo Trinità".

Nonostante buona parte del film sia stata girata in Abruzzo, con le scene in campo aperto nella piana di Campo Imperatore, vi è stata una piccola celebrazione per i cinquantanni della pellicola, in provincia di Siena, all'agriturismo di quello che al tempo fu uno dei produttori esecutivi. Mario Girotti, ormai attualmente forse più conosciuto per la longeva serie Don Matteo, ha presenziato. Purtroppo assente "Bud Spencer" che come ben sappiamo ci ha lasciati già da qualche anno.




Jimmy Carr, uno dei re del Black humor.