sabato 9 ottobre 2021

Che cosa è esattamente un "Film di Serie B"? - #CineFacts

Un film di Serie B è esattamente quello che ne suggerisce l'espressione, ossia un film che non fa parte della categoria A, ma ne è sotto qualche aspetto, o sotto tutti gli aspetti, inferiore.

Solitamente lo è già in partenza, principalmente per il budget volutamente ridotto, il quale inevitabilmente crea un effetto domino nell'assumere professionisti che lavorino al film, attori compresi, non di primo livello.

Talvolta potrebbe essere anche il genere stesso che ne fa un film di seconda categoria, senza vere e proprie ambizioni, che punta magari ad un pubblico di massa.

Ciò non significa che non possa avvenire il riscatto, riscontrando un discreto successo al botteghino,  oppure diventando un "Cult Movie", in anni successivi, spesso sotto la forma di "So bad so good", espressione anglosassone che si è diffusa nell'ultima decade anche da noi, che sta a significare quando qualcosa è fatto cosi male, cosi brutto, da diventare curioso e di intrattenimento proprio per la sua mediocrità.

L'espressione "di serie B" non è da confondersi con quello che oltreoceano è considerato un B-Movie (anche se ad oggi i due concetti sono da noi quasi del tutto sinonimi) ossia un film volutamente di valore minore e di lunghezza inferiore, che veniva offerto come allegato alle proiezioni di film piu di importanti e non come lavoro del tutto a se stante.

In Italia sembra che i pionieri dei film di serie B, forse a loro insaputa, siano stati la coppia comica formata da Franco e Ciccio, assoldati per prendere parte ad un numero veramente considerevole di pellicole, che puntavano piu al guadagno che alla forma e piu alla quantità che alla qualità. 

Gli stessi western all'italiana, per tutti gli Spaghetti Western, nacquero come film di serie B, e cosi furono considerati fino al riscatto di molti di essi nei decenni successivi come film di culto o in alcuni casi proprio al botteghino. 

Tutto questo continuò ad aprire sempre piu porte ai film di serie B ed a renderli sempre piu protagonisti con generi a loro dedicati, come fu di li a poco per la commedia sexy all'italiana e tanti altri generi a seguire negli anni successivi. 

Molti di questi film furono poi come detto negli anni riscoperti e diventati dei veri cult, ma la cosa non riguardò soltanto le singole pellicole. In alcuni casi la cosa riguardò l'intera carriera di alcuni attori, rimasti per una vita all'interno del proprio genere e sempre impietosamente affossati dalla critica, che sono stati rivalutati non solo per la loro dedizione alla scelta ma anche per le loro qualità artistiche, che in tali film rimasero quasi del tutto inespresse ma delle quali molti si accorsero lavorando con loro. 

mercoledì 6 ottobre 2021

"Eh la madonna!" - #RiconosCinema

Chi è l'ambasciatore che ha portato in giro per innumerevoli pellicole del cinema Italiano tale espressione?! 


Renato Pozzetto, classe 1940, Milanese D.o.c., nato in città e cresciuto in provincia a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, tornato nel capoluogo per esibirsi artisticamente, dove riscosse fin da sito un ottimo successo nei locali della città. 

Molta della prima parte della sua carriera è legata al suo duo comico "Cochi e Renato", in coppia con l'amico Aurelio, detto "Cochi", anch'egli milanese.

Il resto della carriera si svolge principalmente come attore cinematografico di commedie, talvolta come protagonista, come ad esempio in "Il ragazzo di campagna", altre in gruppo con altri comici come nell'indimenticabile "Grandi magazzini". 

Ma per quale ragione la milanesità di Pozzetto è rilevante?, perché oltre ad essere stato il suo marchio di fabbrica forse involontario, è stato un marchio che poi lui stesso si è cucino addosso da attore caratterista, con tanto di espressioni iconiche che ne hanno contraddistinto tutta la carriera, come il "Taaac" e come appunto "Eh la madonna!"... qui in foto in una nostra maglietta personale, poco stirata, unita al gioco di parole con "eau" (acqua, in Francese), e l'immagine di Pozzetto all'interno di una bottiglia.

sabato 2 ottobre 2021

Il curioso caso di Vinnie Jones - #CineBio


Vincent Jones, per tutti Vinnie, classe 1965, ha passato la prima metà della sua vita a tirare calci ad un pallone e si potrebbe dire che li stia degnamente tirando fittiziamente nel mondo del cinema, nella sua seconda parte. 

Ha raggiunto ottimi risultati calcistici, avendo giocato per anni nella Premier League Inglese, da sempre massimo campionato di Gran Bretagna ed attualmente del mondo, ed avendo raggiunto la nazionale giocando quindi una decina di incontri con la maglia del Galles, terra dalla quale provenivano i suoi nonni. 

Giocatore robusto e di sostanza, aveva questi tratti spesso anche troppo accentuati, lasciandosi un po' trasportare dall'aggressività fisica e verbale, la quale è sfociata in diversi cartellini rossi, tra i quali uno ricevuto dopo soli 3 secondi di gioco, ed in alcune situazioni al limite del calcistico.

A segnarne la carriera, sempre nella sezione del curriculum con gli episodi sopra le righe, c'è stata anche la strizzata di parti intime piu famosa della storia calcistica, ai danni nientepopodimeno che di uno dei piu' forti ed altrettanto stravaganti giocatori al mondo in quel momento, Paul Gascoigne. Avvenne in campo, durante una partita ufficiale, ma non ebbe alcuno strascico fuori dal terreno di gioco, se non la nascita di una ottima amicizia piena di scherzi tra i due. 

Questi stessi aspetti però sono stati notati e portati sul grande schermo da parte di diversi registi una volta che egli ebbe dismesso i panni di calciatore.

Apparve infatti in due pellicole di successo, sempre con ruoli piuttosto violenti e legati al mondo della criminalità, come Lock & stock e The Snatch a fianco di Brad Pitt.

Come detto il suo tratto caratteristico sia in campo che sul set è quello di essere quello che nella vita di tutti i giorni verrebbe definito un soggetto poco raccomandabile

Nel 2004 interpreta sempre un violento capo ultra, del Manchester United, (squadra inglese in cui egli non ha mai realmente militato) ma questa volta in chiave ironica nella commedia comica Road Trip, dove i due protagonisti americani si imbattono in un gruppo di tifosi all'interno di un pub di Londra. La più iconica tra le sue scene non serie è proprio il modo in cui stappa due bottiglie di birra in questa pellicola.. pressando i tappi sui propri occhi prima di ruotarle per aprirle, piuttosto surreale ma divertente e di fatto funzionale. 

Uno dei ruoli che fanno eccezione nella sua carriera, ma soltanto in parte, potrebbe essere quello in Freelancer, film hollywoodiano del 2012, dove si, interpreta un membro di una associazione criminale, ma non ne esce come vincente, anzi, ha un ruolo di secondo piano dove il suo personaggio viene in fin dei conti semplicemente sottomesso ed è costretto ad implorare.

In generale la sua figura al cinema non è cambiata molto rispetto a quella in campo, ha mantenuto il suo fare da spaccone che però gli ha permesso in entrambi i settori di ottenere ottimi risultati. Con la differenza che le sue performance cinematografiche sono stata elogiate un po' da tutte le parti e non nuociono realmente a nessuno, tanto da poter essere di intrattenimento anche per i più giovani, mentre il suo atteggiamento in campo era spesso criticato su più fronti ed innegabilmente non un esempio di vita per chi si avvicinava allo sport, specialmente proprio per i più piccoli. 



mercoledì 29 settembre 2021

King of the avenue (2010) - #Recensione

King of the avenue (Titolo rimasto inalterato nella versione in Italiano) è un thriller-drammatico americano uscito nel 2010.

La storia è quella di un ragazzino che dopo aver perso la madre viene adottato da un boss della malavita, che se ne prende cura per il resto dei propri giorni con amore, ma dandogli insegnamenti, relativi al proprio stile di vita.

Per quanto apparentemente, con tutti i suoi difetti, fosse risultato agli occhi del figlio un padre affettuoso, premuroso ed un vero e proprio idolo per lui e per quanto questi insegnamenti applicati alla vita di tutti i giorni gli abbiano permesso di diventare qualcuno, quel qualcuno non era altro che una copia del padre.

Il figlio infatti si ritrova ad essere nient'altro che un altro spacciatore di droga di quartiere, con un buon giro d'affari e la convinzione di non fare la stessa fine del padre. 

Difficilmente il film, visto anche il cast, aveva particolari pretese, eppure secondo la maggior parte del pubblico sono state tradite le attese, valutandolo dunque abbondantemente sotto la sufficienza.

E' certamente la credibilità dei vari protagonisti nella parte dei loro rispettivi personaggi, ed in particolare ancor di più la recitazione vera e propria, che risultano innegabilmente piuttosto scadenti.

Da salvare forse sotto questo aspetto, la performance di Irving Rhames, nella parte del padre, il suo ruolo da duro inflessibile alla vita forse lo rende più facile da eseguire, ma è stata pur sempre una decente esibizione di carisma.


Chi di contro invece ha decisamente deluso è proprio, Simone Rex, protagonista del film e presente in quasi ogni scena, esclusi i flashbacks da piccolo, che proprio non riesce a trasmettere tutto il range di emozioni, davvero molto ampio ai fatti, che il protagonista vive durante tutta la pellicola. 

Andare avanti con la trama in questo caso significherebbe un inevitabile spoiler troppo rilevante, ma quello che può essere detto e che è anche il miglior complimento che si possa fare al film, è che di positivo ha una doppia morale, ed entrambe fanno capire come il film aveva una buona base di partenza che forse non è stata sviluppata al meglio.

La prima riguarda l'aspetto interiore del protagonista, di come quando qualcosa venga represso per anni, tenda spesso a manifestarsi tutto insieme, con una forza inarginabile e talvolta persino in grado di far cambiare la propria personalità. Sotto questo aspetto il film analizza, e lo fa abbastanza degnamente, un elemento della vita che solo nelle ultime decadi è diventato veramente rilevante a livello medico e psicologico, tanto che sono state ufficialmente inserire come condizioni cliniche gli shock traumatici post guerra o le depressioni post parto, per farne alcuni esempi. 


L'altro aspetto interessante è come il film si interroghi sul fatto di riuscire o meno a rompere un cerchio, figurato, nella vita, o ancor più precisamente nelle discendenze. 
Il figlio infatti cerca di uscire da questo simbolico cerchio dove continua a ricalcare volontariamente ed involontariamente le orme del padre e per quanto le sue mosse sembrino sempre, a lui, del tutto coscienti, il pensiero che l'inconscio abbia giocato una parte molto rilevante in tutto questo, prende sempre più piede dentro di lui. La morale finale sta dunque nella domanda simil retorica del protagonista, che dopo aver constatato di aver fallito in questa sua missione, domanda allo spettatore se invece esso sia in grado di rompere le proprie catene.
Naturalmente non tutti cerchiamo di non diventare qualcuno nel mondo della malavita, si parla anche di catene più piccole, riguardanti aspetti anche non cosi tragici, ma comunque negativi, che si tramandano in famiglia da generazioni e nessuno riesce a fermare la tradizione. 

domenica 26 settembre 2021

Sul tetto del mondo - Walter Bonatti - #Recensione

In questi giorni ricorre il decennale della scomparsa del grande, grandissimo, Walter Bonatti, alpinista estremo, esploratore e giornalista italiano. Per l'occasione la Rai ha prodotto una Docufiction, sotto la regia di Stefano Vicario, figlio di Rossana Podestà, colei che condivise inseparabilmente con Bonatti gli ultimi 30 anni delle rispettive vive. 

L'opera è stata molto criticata dalle principali testate giornalistiche, soprattutto per alcuni aspetti specifici, come la poca amalgama tra i filmati storici dell'epoca e le parti nuove girate dal regista, e per la scarsa somiglianza fisica effettiva degli attori scelti, ai personaggi reali che dovevano rappresentare.

Tuttavia, il film scorre bene e per quanto ci sia chi ritiene che non renda piena giustizia alla figura di Bonatti, lo rende comunque molto fruibile ed intrigante a tutte le nuove generazioni che non erano a conoscenza della grandezza delle sue imprese ne tanto meno della sua grandezza come uomo. 


La trama è semplicemente il ripercorrere con flashback sulla sua vita, misti a filmati storici di archivio con il vero Bonatti, la sua esistenza, il tutto con il costante leitmotiv della sua relazione, nata quando ormai erano entrambi cinquantenni, con la famosa attrice Rossana Podestà, da li il nome completo dell'opera "Sul tetto del mondo - Walter Bonatti e Rossana Podestà".

Certamente il fatto che in una carriera come quella di Bonatti, si debba ricorrere come sempre, da solito stile Italiano, alla necessità di inserire l'amore di coppia come centro di tutto, sembra un po' stucchevole, ma ai fatti non è proprio cosi. Come detto tutti i 90 minuti di film scorrono bene e nemmeno la loro storia d'amore, inoltre ulteriormente e dichiaratamente romanzata per il copione, non risulta affatto fuori luogo.

Chi era però questo Walter Bonatti, che ai più, specialmente se giovani e certamente ai non appassionati di montagna, risulta sconosciuto?, e soprattutto, viene davvero fuori da questo lavoro, l'essenza di ciò che è riuscito a compiere in vita?

La risposta direi proprio che sia Si!. Egli è stato uomo, ancor prima che alpinista, ed amante vero della montagna in tutte le sue sfaccettature ancor prima che scalatore estremo. 

Fin da adolescente mostra le sue grandi doti da arrampicatore, ed a soli 24 anni prende parte ad una delle spedizioni italiane più storiche e più rilevanti a livello mondiale, la scalata al K2, nel 1954.

La spedizione fu un successo, almeno a livello di opinione pubblica, ma si portò con se strascichi, personali, particolarmente nell'animo di Bonatti, che si protrassero per una vita intera o quasi, ed il docufilm documenta appunto anche questo aspetto, con tutti i fatti salienti e colpi di scena che si susseguirono negli anni, relativi alla vicenda.

Scalò di tutto in vita, pareti impensabili, in stagioni che le rendevano ancora più impervie, e ne usci sempre vincitore, pagandone spesso comunque prezzi molto alti, come la perdita di diversi compagni di viaggio in tali spedizioni, prima di appendere definitivamente corde e piccone al chiodo all'età di 35 anni.

Diventando però a quel punto viaggiatore e reporter per giornali di natura e rimanendo quello che è sempre stato più di ogni cosa, un avventuriero.

Al suo fianco come detto risulta rilevante la figura di Rossana Podestà, famosa attrice dell'epoca, che non sognava altri divi del cinema al suo fianco, ma un uomo come lui, e dopo averlo apertamente dichiarato alla stampa, la loro conoscenza si concretizzò e si protrasse crescendo sempre più, fino alla fine dei loro rispettivi giorni.

Verso il finale del film, si mostra la malattia di Bonatti, e di come la Podestà dichiari di non volerlo informare del responso dei medici, (non è chiaro se sia una scelta del regista od attinente ai fatti reali) questo però suona come una incongruenza, una nota stonata nella loro relazione, perché, che lei lo abbia davvero amato è molto probabile, che lo abbia sopportato in tutti i lati più spigolosi del suo carattere è quasi certo, ma il sospetto che non lo abbia del tutto capito, rimane presente.. perché nascondere una malattia incurabile, ad un uomo che più di tutto nella vita ha ricercato la verità in ogni cosa, suona come se tu non abbia mai ascoltato chi hai davanti. 

Al docufilm hanno partecipato in molti, esterni o meno alle vite vere e proprie dei protagonisti, tra i quali vari interventi di Fabio Fazio che espone anche egli e direi egregiamente, il proprio pensiero sull'ossessione per la verità da parte di Bonatti, dicendo : "Un galantuomo non può accettare il disonore, quando non è meritato".

In conclusione, la vita di Bonatti risulta all'interno del film come effettivamente eccezionale, per l'uomo che era e per le imprese che compiva, ma probabilmente certe imprese non le avrebbe potute compiere se non fosse stato l'uomo che era, ed un uomo cosi non poteva che compiere certe imprese.

L'amore romanzato invece ne esce un po' più in secondo piano rispetto a quanto volessero far credere, viene quasi il dubbio che forse non fosse nemmeno amore ma più un incontro di solitudini. 

Una nota a parte va ad Alessio Boni, attore protagonista, che come era successo per il docufilm sulla vita dell'imprenditore Enrico Piaggio, viene scelto per rappresentarne l'uomo solo al comando e come era accaduto anche per l'altra opera, risulta credibile ed efficace. Con in aggiunta il fatto che, se nell'altra pellicola il suo accento non combaciasse per niente con quello del vero Piaggio, in questa sicuramente è stato più che appropriato, essendo egli Bergamasco proprio come Bonatti, ed essendo stato questo certamente un onore immenso per lui rappresentare degnamente uno dei suoi più grandi conterranei di sempre. 

A questi si aggiunge un altro intervistato durante il film, Simone Moro, forse il più grande alpinista italiano vivente ed anch'egli bergamasco d.o.c. , perché "Berg" significa proprio montagna in Tedesco, da quelle parti ce l'hanno nel sangue, come la necessità di compiere imprese e scalare per loro vuol dire scoprirsi dentro e questo concetto viene ben espresso da Bonatti, in quella che forse è la più bella frase del film : 

"Scalare e viaggiare è sempre stato un modo per conoscere me stesso, ed è un'esplorazione che non finisce mai, perché l'uomo è infinito!"

Perche si dice "Ciak"? - #CineFacts

 


La parola Ciak non è altro che una onomatopea, ossia una parola che cerca con il proprio suono quando viene pronunciata, di avvicinarsi il più possibile al suono emesso dall'oggetto che vuole rappresentare.
In questo caso, la parola sta ad indicare il suono che l'asticella superiore (o inferiore nel caso del Ciak Italiano) emette quando colpisce il resto della tavoletta.

Tavoletta, che è in uso dai primi del novecento un po' in tutto il cinema mondiale, vista la propria semplicità di realizzazione, di utilizzo e la propria utilità. 
Non è mutata molto nel corso degli anni, ma in alcuni casi quella classica nero e bianca con le scritte in gesso, è stata sostituita da una versione elettronica. 



Si usa ad inizio ripresa, anche se talvolta viene inserita a fine scena ed in tal caso capovolta, per indicare in fase di editing, di quale scena ed il numero di volte che sia stata girata e che tipo di inquadratura sia. Il tutto è accompagnato dagli stessi dati pronunciati a voce in contemporanea al ciak. 

In sostanza non è un oggetto ornamentale o di contorno, ne tanto meno un gesto protrattosi negli anni per scaramanzia, ma un vero e proprio strumento di lavoro, tutt'oggi imprescindibile e difficilmente soppiantabile del tutto al momento, anche in questa era digitale. 

mercoledì 22 settembre 2021

Che cosa è il vero "Effetto farfalla"?

Nell'ormai abbastanza lontano 2004, usciva nelle sale " The batterfly effect", film con un sorprendente Ashton Kutcher ed una altrettanto ottima performance da parte di Amy Smart. Il risultato fu un ottimo successo di pubblico, ma non fu altrettanto acclamato dalla critica.

(Tecnicamente il film è ad oggi parte di una sorta di trilogia, essendo la saga continuata con altri due titoli usciti come The batterfly effect 2 e The batterfly effect 3 - Revelations.)

Questa non vuole essere una recensione ne una spiegazione degli avvenimenti del film, che si collegano al concetto di effetto farfalla, ma bensì semplicemente una breve spiegazione su che cosa sia di fatto questo effetto e perché possa aver intrigato la cinematografia e lo spettatore. 

L'effetto farfalla non è altro che un'espressione per definire come, una piccola variazione, si amplifichi nello spazio e nel tempo. Come esempio viene usato appunto il battito di ali di una farfalla e come possa esso simbolicamente, scatenare un uragano dall'altra parte del mondo.



Si potrebbe definire l'opposto del concetto matematico della proprietà commutativa, familiare a tutti e con il quale siamo cresciuti, dove cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia.

In questo caso invece cambia, si amplifica, con fattori variabili e persino esponenziali e lo fa in maniera permanente. Aspetto che viene trattato appunto nel film, dove l'estenuante tentativo del protagonista di correggere tali cambiamenti originati da una piccola variazione iniziale, finiscono sempre per dover essere invece corretti dalla base, l'inizio, dovendo per forza tornare all'origine dai fatti. 

L'effetto farfalla fu per la prima volta trattato appunto in meteorologia, dove ci si accorse che semplici arrotondamenti nei dati, causavano significative variazioni nella previsione finale a lungo termine. 

La trasposizione nell'arte di tale concetto è avvenuta in molti campi, come nella letteratura, grazie al prolifico autore Ray Bradbury, nel suo "Rumore di tuono", opera che ha poi ispirato appunto il primo dei film The butterfly effect, ma anche in senso più lato, come semplice destino, in una pellicola di pochi anni precedenti, Sliding doors, dove il solo scegliere di non prendere la metropolitana, direziona la protagonista in una serie di eventi simili ma con risultati diametralmente opposti. 

"Tropa de Elite" (2007) #Recensione