In questi giorni ricorre il decennale della scomparsa del grande, grandissimo, Walter Bonatti, alpinista estremo, esploratore e giornalista italiano. Per l'occasione la Rai ha prodotto una Docufiction, sotto la regia di Stefano Vicario, figlio di Rossana Podestà, colei che condivise inseparabilmente con Bonatti gli ultimi 30 anni delle rispettive vive.
L'opera è stata molto criticata dalle principali testate giornalistiche, soprattutto per alcuni aspetti specifici, come la poca amalgama tra i filmati storici dell'epoca e le parti nuove girate dal regista, e per la scarsa somiglianza fisica effettiva degli attori scelti, ai personaggi reali che dovevano rappresentare.
Tuttavia, il film scorre bene e per quanto ci sia chi ritiene che non renda piena giustizia alla figura di Bonatti, lo rende comunque molto fruibile ed intrigante a tutte le nuove generazioni che non erano a conoscenza della grandezza delle sue imprese ne tanto meno della sua grandezza come uomo.
Certamente il fatto che in una carriera come quella di Bonatti, si debba ricorrere come sempre, da solito stile Italiano, alla necessità di inserire l'amore di coppia come centro di tutto, sembra un po' stucchevole, ma ai fatti non è proprio cosi. Come detto tutti i 90 minuti di film scorrono bene e nemmeno la loro storia d'amore, inoltre ulteriormente e dichiaratamente romanzata per il copione, non risulta affatto fuori luogo.
Chi era però questo Walter Bonatti, che ai più, specialmente se giovani e certamente ai non appassionati di montagna, risulta sconosciuto?, e soprattutto, viene davvero fuori da questo lavoro, l'essenza di ciò che è riuscito a compiere in vita?
La risposta direi proprio che sia Si!. Egli è stato uomo, ancor prima che alpinista, ed amante vero della montagna in tutte le sue sfaccettature ancor prima che scalatore estremo.
Fin da adolescente mostra le sue grandi doti da arrampicatore, ed a soli 24 anni prende parte ad una delle spedizioni italiane più storiche e più rilevanti a livello mondiale, la scalata al K2, nel 1954.
La spedizione fu un successo, almeno a livello di opinione pubblica, ma si portò con se strascichi, personali, particolarmente nell'animo di Bonatti, che si protrassero per una vita intera o quasi, ed il docufilm documenta appunto anche questo aspetto, con tutti i fatti salienti e colpi di scena che si susseguirono negli anni, relativi alla vicenda.Scalò di tutto in vita, pareti impensabili, in stagioni che le rendevano ancora più impervie, e ne usci sempre vincitore, pagandone spesso comunque prezzi molto alti, come la perdita di diversi compagni di viaggio in tali spedizioni, prima di appendere definitivamente corde e piccone al chiodo all'età di 35 anni.
Diventando però a quel punto viaggiatore e reporter per giornali di natura e rimanendo quello che è sempre stato più di ogni cosa, un avventuriero.
Al suo fianco come detto risulta rilevante la figura di Rossana Podestà, famosa attrice dell'epoca, che non sognava altri divi del cinema al suo fianco, ma un uomo come lui, e dopo averlo apertamente dichiarato alla stampa, la loro conoscenza si concretizzò e si protrasse crescendo sempre più, fino alla fine dei loro rispettivi giorni.
Verso il finale del film, si mostra la malattia di Bonatti, e di come la Podestà dichiari di non volerlo informare del responso dei medici, (non è chiaro se sia una scelta del regista od attinente ai fatti reali) questo però suona come una incongruenza, una nota stonata nella loro relazione, perché, che lei lo abbia davvero amato è molto probabile, che lo abbia sopportato in tutti i lati più spigolosi del suo carattere è quasi certo, ma il sospetto che non lo abbia del tutto capito, rimane presente.. perché nascondere una malattia incurabile, ad un uomo che più di tutto nella vita ha ricercato la verità in ogni cosa, suona come se tu non abbia mai ascoltato chi hai davanti.
Al docufilm hanno partecipato in molti, esterni o meno alle vite vere e proprie dei protagonisti, tra i quali vari interventi di Fabio Fazio che espone anche egli e direi egregiamente, il proprio pensiero sull'ossessione per la verità da parte di Bonatti, dicendo : "Un galantuomo non può accettare il disonore, quando non è meritato".
In conclusione, la vita di Bonatti risulta all'interno del film come effettivamente eccezionale, per l'uomo che era e per le imprese che compiva, ma probabilmente certe imprese non le avrebbe potute compiere se non fosse stato l'uomo che era, ed un uomo cosi non poteva che compiere certe imprese.
L'amore romanzato invece ne esce un po' più in secondo piano rispetto a quanto volessero far credere, viene quasi il dubbio che forse non fosse nemmeno amore ma più un incontro di solitudini.
Una nota a parte va ad Alessio Boni, attore protagonista, che come era successo per il docufilm sulla vita dell'imprenditore Enrico Piaggio, viene scelto per rappresentarne l'uomo solo al comando e come era accaduto anche per l'altra opera, risulta credibile ed efficace. Con in aggiunta il fatto che, se nell'altra pellicola il suo accento non combaciasse per niente con quello del vero Piaggio, in questa sicuramente è stato più che appropriato, essendo egli Bergamasco proprio come Bonatti, ed essendo stato questo certamente un onore immenso per lui rappresentare degnamente uno dei suoi più grandi conterranei di sempre.
A questi si aggiunge un altro intervistato durante il film, Simone Moro, forse il più grande alpinista italiano vivente ed anch'egli bergamasco d.o.c. , perché "Berg" significa proprio montagna in Tedesco, da quelle parti ce l'hanno nel sangue, come la necessità di compiere imprese e scalare per loro vuol dire scoprirsi dentro e questo concetto viene ben espresso da Bonatti, in quella che forse è la più bella frase del film :
"Scalare e viaggiare è sempre stato un modo per conoscere me stesso, ed è un'esplorazione che non finisce mai, perché l'uomo è infinito!"
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