mercoledì 29 settembre 2021

King of the avenue (2010) - #Recensione

King of the avenue (Titolo rimasto inalterato nella versione in Italiano) è un thriller-drammatico americano uscito nel 2010.

La storia è quella di un ragazzino che dopo aver perso la madre viene adottato da un boss della malavita, che se ne prende cura per il resto dei propri giorni con amore, ma dandogli insegnamenti, relativi al proprio stile di vita.

Per quanto apparentemente, con tutti i suoi difetti, fosse risultato agli occhi del figlio un padre affettuoso, premuroso ed un vero e proprio idolo per lui e per quanto questi insegnamenti applicati alla vita di tutti i giorni gli abbiano permesso di diventare qualcuno, quel qualcuno non era altro che una copia del padre.

Il figlio infatti si ritrova ad essere nient'altro che un altro spacciatore di droga di quartiere, con un buon giro d'affari e la convinzione di non fare la stessa fine del padre. 

Difficilmente il film, visto anche il cast, aveva particolari pretese, eppure secondo la maggior parte del pubblico sono state tradite le attese, valutandolo dunque abbondantemente sotto la sufficienza.

E' certamente la credibilità dei vari protagonisti nella parte dei loro rispettivi personaggi, ed in particolare ancor di più la recitazione vera e propria, che risultano innegabilmente piuttosto scadenti.

Da salvare forse sotto questo aspetto, la performance di Irving Rhames, nella parte del padre, il suo ruolo da duro inflessibile alla vita forse lo rende più facile da eseguire, ma è stata pur sempre una decente esibizione di carisma.


Chi di contro invece ha decisamente deluso è proprio, Simone Rex, protagonista del film e presente in quasi ogni scena, esclusi i flashbacks da piccolo, che proprio non riesce a trasmettere tutto il range di emozioni, davvero molto ampio ai fatti, che il protagonista vive durante tutta la pellicola. 

Andare avanti con la trama in questo caso significherebbe un inevitabile spoiler troppo rilevante, ma quello che può essere detto e che è anche il miglior complimento che si possa fare al film, è che di positivo ha una doppia morale, ed entrambe fanno capire come il film aveva una buona base di partenza che forse non è stata sviluppata al meglio.

La prima riguarda l'aspetto interiore del protagonista, di come quando qualcosa venga represso per anni, tenda spesso a manifestarsi tutto insieme, con una forza inarginabile e talvolta persino in grado di far cambiare la propria personalità. Sotto questo aspetto il film analizza, e lo fa abbastanza degnamente, un elemento della vita che solo nelle ultime decadi è diventato veramente rilevante a livello medico e psicologico, tanto che sono state ufficialmente inserire come condizioni cliniche gli shock traumatici post guerra o le depressioni post parto, per farne alcuni esempi. 


L'altro aspetto interessante è come il film si interroghi sul fatto di riuscire o meno a rompere un cerchio, figurato, nella vita, o ancor più precisamente nelle discendenze. 
Il figlio infatti cerca di uscire da questo simbolico cerchio dove continua a ricalcare volontariamente ed involontariamente le orme del padre e per quanto le sue mosse sembrino sempre, a lui, del tutto coscienti, il pensiero che l'inconscio abbia giocato una parte molto rilevante in tutto questo, prende sempre più piede dentro di lui. La morale finale sta dunque nella domanda simil retorica del protagonista, che dopo aver constatato di aver fallito in questa sua missione, domanda allo spettatore se invece esso sia in grado di rompere le proprie catene.
Naturalmente non tutti cerchiamo di non diventare qualcuno nel mondo della malavita, si parla anche di catene più piccole, riguardanti aspetti anche non cosi tragici, ma comunque negativi, che si tramandano in famiglia da generazioni e nessuno riesce a fermare la tradizione. 

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