"La ragazza con la pistola" è una commedia di fine anni sessanta, con Monica Vitti al centro delle scene e della trama, ricordata principalmente per essere stata il suo primo vero film da protagonista.
La storia è quella di una sicilia fondata sui valori dell'onore e della tradizione, dove una coppia che abbia avuto una notte d'amore, debba necessariamente procedere verso il matrimonio. Il lui della coppia però, tale Vincenzo Maccaluso (il nome verrà ripetuto incessantemente per tutto il film), interpretato da Carlo Giuffrè, decide di fuggire per non essere costretto a sposarsi, e questo al tempo veniva considerato una grande offesa all'onore del partner, in questo caso la lei della coppia, Assunta Patanè, interpretata da Monica Vitti, che si mette sulle sue tracce per vendicare il fatto, desiderosa di ucciderlo, portandosi sempre dietro appunto, una pistola.
Il film inizia bene, molto bene, ritmato, ironico ed autoironico, e per quanto vengano usati tutti gli stereotipi del caso, anche abbastanza originale. Tuttavia poi, arrivati i titoli iniziali dopo la lunga introduzione, si perde.
Le scene si spostano nel Regno Unito, per una scelta non del tutto chiara e comprensibile, ma probabilmente principalmente per far risaltare un certo divario culturale riguardante le libertà personali dell'epoca, specialmente quelle delle dinamiche di coppia, mostrando poi durante il film, come le coppie socialmente accettate non fossero più soltanto quella uomo-donna.
Uno dei problemi principali del film è come il passo si assopisca sempre più, ogni quarto d'ora è più lento a scorrere del precedente, fino ad arrivare ad un lentissimo succedersi di eventi, uno strascicarsi da una scena all'altra con una qualche ipotetica suspence, con dialoghi e sguardi sempre più languidi e petulanti, con un finale che vorrebbe far intuire un lieto fine, ma che è vuoto di atmosfera e coinvolgimento quanto il porto dove è stato girato.
Impossibile non menzionare il fatto stupefacente e sconcertante di come
per metà dell'opera tutti i protagonisti si professino autoctoni, quindi
per la maggior parte britannici, ma da circa la metà in poi diventino
tutti fluenti in italiano e con dizioni perfette. Lo stesso accento
siciliano della Vitti si perde quasi completamente, apparendo più
influenzato dal proprio interlocutore di turno che dalle reali origini
del personaggio. Una pratica, quella di introdurre un personaggio con un
accento forte e poi farglielo perdere in favore di una maggiore
comprensibilità e leggerezza per lo spettatore, ancora oggi in vigore,
ma per quanto sia comprensibile per un docufilm della Rai dedicato ad un pubblico della terza età, non sembra proprio una scelta stilistica accettabile in
questo caso.
Presenti sia l'immancabile emancipazione femminile della protagonista, leitmotiv di tutta una serie di film della Vitti, che l'altrettanto imprescindibile scena in cui viene fatta cantare, nonostante non ve ne siano ragioni pratiche per meriti effettivi. (al contrario di uno stupefacente Proietti, suo coprotagonista in "La Tosca"). Tuttavia non è possibile crocifiggere Monicelli per questi due elementi ricorrenti, essendo stato questo il film che li ha lanciati per essere poi copiati di fatto in quelli successivi.
In sostanza una pellicola che parte come commedia divertente, che espone le assurdità e le contraddizioni di alcuni aspetti della cultura italiana del tempo, ma che diventa sempre più una melensa commedia sentimentale, con facili moralismi e tutta una serie di espedienti e battute ripetitivi e decisamente non in grado di giustificarne la candidatura agli Oscar dell'anno successivo come "Miglior film straniero".