domenica 9 gennaio 2022

One child nation - (2019) #Recensione

"One child nation", è un documentario su di un argomento piuttosto complesso, che tutti conosciamo "di nome", di cui tutti sappiamo di che cosa si tratti in teoria, ma del quale della sua pratica sappiamo ben poco. 
Stiamo parlando del fatto che la Cina, abbia limitato per più di 30 anni, la libertà di riprodursi ai propri cittadini, imponendo una politica del "figlio unico" obbligatoria, e facendo rispettare questa regola con l'ausilio di una insistente propaganda e ricorrendo spesso anche alle cosi dette maniere forti.

Uno dei paradossi di tutta questa parte di storia Cinese, è come ci fosse poca consapevolezza e forse anche poco interesse al di fuori del paese per quello che stava accadendo al suo interno su questo fronte, ma come ce ne fosse ancor meno (di consapevolezza) tra i suoi stessi cittadini, e su questo il documentario fa un buon lavoro nel mostrare la cosa sia da dentro che da fuori i confini nazionali.

L'intera storia della politica del figlio unico in Cina è tutta una unica gigantesca vicenda trentennale di diritti umani basici violati, di istituzioni corrotte e falsificatrici, di imposizioni dall'alto che costringevano a battaglie quotidiane tra poveri, di immani sofferenze di figli e famiglie, divisi, e lasciati al loro destino.


Non è dunque soltanto un documentario su che cosa fosse in quegli anni la politica del figlio unico, ma un tentativo di mostrare quali e quanti altri meccanismi negativi ed esponenziali abbia essa innescato di conseguenza. Come l'abbandono dei figli in strada, o l'inconsapevole adozione da parte di coppie straniere di bambini creduti orfani, ma che in realtà erano stati abbandonati consapevolmente e nolentemente, dai loro stessi genitori. 

E' un documentario ricco di argomenti, che apre un parecchie parentesi e cerca di chiamare in causa un sacco di contributi esterni, tuttavia sembra più rincorrere se stesso che dare dei veri e propri contorni a quello che cerca di dire. In sostanza, per quanto i contorni di tutta la vicenda non possano essere del tutto delineati perché non chiari a nessuno, rimane un po' un senso di incompletezza nella narrazione, tanto che se ne esce in parte più confusi di prima. 

Non è forse dunque un'opera che possa essere presa come chiarificatrice, ma è certamente un buon tentativo nel voler far vedere e cercare di analizzare che cosa possa essere stato giusto e che cosa possa essere stato sbagliato, nella storia Cinese recente, dalle quale elaborazione, le nuove generazioni
possano trarre beneficio, nel non commettere gli stessi errori. 

mercoledì 5 gennaio 2022

Il bar di Chernobyl (2016) - #Recensione

 "Il bar di Chernobyl" (titolo originale "Chernobyl's cafè) è un documentario francese realizzato nel 2016, nell'anno dell'anniversario dei 30 anni dal disastro che colpì quella zona dell'Ucraina, ossia l'esplosione nel reattore numero 4 della centra nucleare che li si trova (e che è incredibilmente ancora in funzione), ma che afflisse consequentemente indirettamente il mondo intero.

Forse non il più imparziale del documentari, va detto. Non che sia un requisito essenziale, ma si nota comunque dal tono fin dall'inizio e nel caso ve ne fossero ancora dei dubbi, viene confermato dalla frase finale. 


Si tratta di una vera e propria gita turistica nelle terre del disastro, fino ad arrivare quasi a toccare il nuovo sarcofago in costruzione che andrà a soppiantare quello vecchio costruito nei giorni successivi al disastro. 
Tutto questo, per quanto gran parte del mondo non ne fosse certamente al corrente, è fatto in maniera del tutto legale, in totale tranquillità, come ogni altra gita di piacere, perché il turismo, organizzato, non solo è possibile in quelle zone, ma è anche in forte crescita.

Il documentario si concentra in particolare sul bar all'interno delle piccola cittadina di Chernobyl, come elemento dal quale si irradia la vita nella città. Punto di riferimento per il piccolo paese, ossia per i lavoratori della centrale e per i militari che controllano gli accessi, ma anche appunto per turisti di ogni tipo, ed opportunità lavorativa per la gente del posto, che dopo alcune iniziali titubanze si dichiara molto soddisfatta di far parte da anni dello staff del bar. 


Non vi sono scoperte in questi 50 minuti, nessuno scoop da renderlo unico, ne ci sono inquadrature o elementi che non siano già stati mostrati infinite volte in questi 30 anni, tuttavia sorprende molto come tutto si svolga in un completo stato di accettazione e tranquillità. La vita c'è in quelle zone, è tornata, e sembra crescere, perché come spiega bene il documentario, le nuove generazioni hanno perduto la visione di tali luoghi e dei fatti accadutivi, come elementi terrificanti, lasciando spazio ad immagini e sensazioni, ricevute soprattutto dai videogiochi, letteralmente, dove quei luoghi e quegli scenari hanno spopolato recentemente, di un qualcosa di intrigante. Facendo si che ci sia una forte spinta a questa tipologia di turismo, spesso definita come "turismo macabro" o "turismo nero", senza una razionale connessione alla realtà del fatti, dei rischi e delle sofferenze che in quei luoghi le persone hanno dovuto subire.

In conclusione, non si può che consigliarlo, non è certo un qualcosa di memorabile cinematograficamente, ma è comunque informativo, ed aggiornato, come un buon articolo di giornale ad immagini. 

domenica 2 gennaio 2022

50 anni di "Lo chiavamano Trinità" - #CineBday

Sono incredibilmente già passati 50 anni, dall'uscita di quello che è ai fatti, uno dei più grandi film a livello di incassi della storia del cinema Italiano. E pensare che era un genere, degli attori, ed una pellicola, che non avevano pretese. 

Partiamo dal genere, si parla di una novità, che fu poi ironicamente ma appropriatamente definita "Fagioli western", ossia una sorta di ripresa ma con taglio più a commedia e più adatta a tutta la famiglia, degli al tempo ben più famosi "Spaghetti western", molti dei quali firmati da registi di grandissimo valore come Sergio Leone, che erano già a loro volta una ripresa nostrana dei film Western classici Americani. 


Appurato che il genere non si candidasse in partenza ad essere leader di niente, vediamo se gli attori si ritenessero da oscar già da prima delle riprese. Non era appunto assolutamente il caso, la storia dei due personaggi chiave, una delle coppie comiche d'oro del cinema Italiano è ben nota, Terence Hill (Mario Girotti) e Bud Spencer (Carlo Pedersoli), erano altro nella vita, e se pur Mario Girotti stesse tentando di trovare la sua strada nel mondo del cinema, Pedersoli veniva da un passato di successo nel campo del nuoto, ed era finito davanti la cinepresa senza realmente alcuna pretesa.

Il caso volle che i due si ritrovassero sul set insieme, quello di "Dio perdona.. io no!" quasi esclusivamente per tutta una serie di coincidenze, tra le quali la più nota e più eclatante, fu quella che a causa di un infortunio fu escluso l'allora scritturato attore protagonista che costrinse il regista a reclutare all'ultimo minuto Girotti. Similarmente, anche Pedersoli non doveva essere presente, per poca competenza nel ruolo ed una richiesta di compenso troppo alta, ma alla fine fu scelto quale "male minore", ed il risultato della pellicola fece capire subito che sarebbero stati una coppia vincente.

Passarono attraverso un'altro paio di film, fino a giungere al suddetto "Lo chiamavano Trinità" dove furono protagonisti e mattatori e che riscosse un successo enorme, battuto soltanto da quello ancora più stupefacente del seguito, uscito l'anno successivo "Continuavano a chiamarlo Trinità".

Nonostante buona parte del film sia stata girata in Abruzzo, con le scene in campo aperto nella piana di Campo Imperatore, vi è stata una piccola celebrazione per i cinquantanni della pellicola, in provincia di Siena, all'agriturismo di quello che al tempo fu uno dei produttori esecutivi. Mario Girotti, ormai attualmente forse più conosciuto per la longeva serie Don Matteo, ha presenziato. Purtroppo assente "Bud Spencer" che come ben sappiamo ci ha lasciati già da qualche anno.




giovedì 30 dicembre 2021

Ciao, 2020! (2020) - #Recensione

 "Ciao, 2020!", è il capolavoro che non ti aspetti, quel qualcosa di cosi imprevedibile e sorprendente dal non farti spegnere la televisione e da volerti far avvertire tutti i conoscenti della sua esistenza immediatamente. 
Si, "televisione", perché non stiamo parlando di un film, ne di un qualcosa a pieno tema cinema, ma siamo comunque nell'ambito del mondo dello spettacolo, con molti dei partecipanti che fanno parte anche dell'ambiente cinematografico. 


Si tratta nello specifico di un finto speciale di capodanno "italiano", realizzato dalla televisione russa, con tutti partecipanti autoctoni, che è andato in onda in prima serata durante la notte di capodanno 2020.
La durata è di soli 50 minuti effettivi circa, ma in un cosi piccolo lasso di tempo, viene inserito un quantitativo strabiliante sia di satira sulla televisione italiana di qualche decade fa, sia di critica alla società corrente russa ed a molti dei suoi standard di pensiero.

Il tutto si apre con il presentatore del programma di prima serata del canale principale russo, che avrebbe dovuto intrattenere l'intera nazione per la sera di capodanno, che annuncia che a causa della situazione speciale di quest'anno, causa pandemia, la produzione non se l'era sentita di realizzare un vero e proprio speciale, e che aveva invece chiesto alla televisione italiana, di inviare un loro festival di capodanno per poter intrattenere il popolo russo, che, come dice il presentatore, che cosa ama più di tutto?, cantare le canzoni italiane!.

Tuttavia, a seguito di questo annuncio, non fa altro che partire uno speciale realizzato dalla stessa televisione russa, ma in stile italiano, con i nomi di tutti i protagonisti italianizzati, le canzoni tradotte o comunque ricantate con parole italiane, e via dicendo.. ed i protagonisti non sono altro che lo stesso conduttore, cantanti ed attori famosissimi in russia che ricantano le proprie canzoni di grande successo del momento, attori, comici, ed altre personalità russe famosissime del mondo dello spettacolo, che si alternano in un tripudio di vestiti da paninari, tagli di capelli osceni ed umorismo da bar, il tutto senza mai risultare ne offensivi ne pesanti.


Il risultato è come detto un autentico capolavoro di ironia ed autoironia. Si va dal trash al nonsense, passando però per grandi classici della televisione italiana di qualche anno fa come i fuorionda imbarazzanti, le pubblicità a fortissima connotazione sessuale, le inquadrature maliziose e le risate finte, ed attraversando anche il campo minato che è la critica sociale, specialmente in russia, condannando l'omofobia.

In sostanza un qualcosa che ha fatto successo in entrambe le nazioni, perché inaspettato, perché estremamente ben fatto e minuziosamente curato, perché mai eccessivo ne inopportuno, perché se tante cose venissero prese con uno spirito simile, il mondo sarebbe certamente più unito. 
Ben vengano ulteriori speciali del genere, a partire da quest'anno, dove gli occhi del mondo saranno probabilmente puntati sulla stessa emittente russa per capodanno, per vedere a chi toccherà quest'anno, per vedere se anche quest'anno sarà stata creata un'altra perla. 

sabato 25 dicembre 2021

Banksy - L'arte della ribellione (2020) #Recensione

Banksy - L'arte della ribellione, è un documentario uscito nel 2020 riguardante la vita dell'artista (writer, street artist e attivista politico) britannico Banksy. 

Si parte dall'evento forse più clamoroso della sua carriera, inteso proprio in senso letterale, quello che suscitò più clamore dal vivo, ossia quando uno dei suoi dipinti, fu battuto all'asta per un 1 milione di dollari, ed il quadro si autodistrusse davanti gli occhi di tutti, non appena il martelletto decretò che qualcuno se lo era aggiudicato. In classico stile Banksiano qualcuno direbbe.


Il documentario però dopo i primi minuti, fa un passo indietro, un enorme passo, in pratica agli anni della sua nascita, (a Bristol, città portuale del sud dell'Inghilterra) cercando di dare una infarinatura generale allo spettatore, specialmente se non britannico, di quale fosse la situazione sull'isola in quegli anni, in particolare sotto gli aspetti politico ed economico-industriale e di che cosa stessero passando internamente i suoi abitanti, quindi ne analizza a fondo anche gli aspetti sociali.

Tali temi vengono trattati, e poi ripresi più volte durante tutti i più di 100 minuti di documentario, sia perché rivivono molto nelle opere di Banksy, sia perché egli stesso non negherà di essere a suo modo in prima linea su certi temi. 

Uno dei momenti più involontariamente politicizzati, dato che se pur la location fosse quasi inscindibile da tale aspetto, ma di per se la sua visita e conseguenti opere (sotto forma di graffiti a stencil sul muro di divisione tra Israele e Palestina) non lo volessero essere, fu quelle nell'area dove era stato eretto quello che era il più grande muro divisorio in cemento al mondo, ossia la discussa zona tra Israele e Palestina. 



Vi è per tutta la durata della "pellicola", una strana e contraddittoria definizione dell'identità di Banksy, dato che, globalmente è da sempre non associato ufficialmente ad alcun volto e la sua identità è da sempre oggetto di supposizioni (per anni è esistita la teoria che lo faceva essere il membro fondatore del gruppo del Massive Attack, anch'egli writer ed anch'egli di Bristol), tuttavia quasi tutti gli intervenuti e gli intervistati, sanno bene chi egli sia, lavorandoci a stretto contatto quasi giornalmente o avendoci condiviso parti ed anni importanti della propria vita. 

In sostanza il documentario riassume bene un po' tutte le tappe dell'uomo Bansky, dai banchi di scuola alle bravate con qualche bomboletta e qualche amico, fino alla presa di coscienza, che forse dentro di lui era ben chiara fin dall'inizio, di essere un personaggio che in quanto pubblico era ascoltato, e che poteva, e di fatto voleva, influenzare le masse, a favore di una maggiore consapevolezza su certi temi sociali per lui rilevanti. Ripercorre dunque tutti gli aspetti di vita, conosciuti, del Banksy uomo, e quasi tutte le "incursioni" artistiche della sua ormai trentennale carriera artistica.

Su questi aspetti il documentario fa un buon lavoro, e si può dire con tranquillità, che nonostante la sua lunghezza notevole per un documentario, scorra anche bene, tuttavia non è tutto rose e fiori, infatti alla fine risulta un po' ne carne ne pesce, apparendo nella sua interezza un po' spento e sbiadito, anziché frizzante e movimentato, e un po' troppo nozionistico e piatto, anziché, spavaldo ed intrigante. In conclusione, si potrebbe definire un documentario che è tutto il contrario del suo soggetto. 



mercoledì 22 dicembre 2021

Due tra i più grandi dimagrimenti per un ruolo in un film.

"Tv adds 10 pounds", letteralmente "La televisione aggiunge 5 chili", è una espressione anglosassone, ed anche se la trasformazione da chili a pounds non è esatta, il concetto rimane quello, andare in tv, e spesso accade anche in una semplice foto, a causa della distorsione delle lenti, può far apparire una persona più "grassa" di quello che realmente sia.

Nel cinema dunque, le luci, le inquadrature, il montaggio, in mani esperte possono aggiungere o togliere peso ad un attore, ma se si deve andare oltre, per esempio se si parlasse di 10 o 20 chili, occorrerebbe una vera e propria trasformazione fisica, con tanto di dieta, ipocalorica o ipercalorica a seconda del bisogno, per rendere credibile tale aspetto.

In questo post non verranno presi in considerazione gli aspetti di trucco ed effetti speciali, due ottime risorse per il cinema nelle situazioni estreme, ma soltanto la dedizione di alcuni attori, che per ricoprire certi ruoli/personaggi, fisicamente notevolmente diversi dal loro usuale aspetto fisico, hanno seguito regimi alimentari e/o di esercizio fisico molto particolari ed impegnativi


Prenderemo ad esempio due casi, quello forse più noto e quello forse più estremo, tra quelli conosciuti nel cinema occidentale.

Il primo caso è quello di Tom Hanks, che per il film Cast away fu "costretto" appunto a seguire entrambi i regimi, ed entrambi furono piuttosto impegnativi.
Per quello fisico infatti dovette perdere 23 chili, e per quello motorio dovette fare 4 ore di allenamento quotidiano, il tutto per 4 estenuanti mesi. 
Il risultato è quello che abbiamo visto probabilmente quasi tutti, un credibilissimo naufrago fisicamente pacioccone, trasformarsi in uno scheletrico abitante di un'isola deserta in grado di vivere con le (poche) risorse alimentari che trovava attorno.
Tutto ciò, gli valse anche una nomination agli Oscar come miglior attore protagonista.


Il secondo caso è quello di Christian Bale, non nuovo alla cosa, ma che per interpretare il protagonista de "L'uomo senza sonno" (titolo originale : The Machinist) dovette perdere quasi 30 chili, e lo fece grazie ad un regime alimentare particolarmente ipocalorico, e certamente anche poco salubre, che consistette, per circa 6 mesi, di una scatoletta di tonno ed una mela, al giorno. 
Questo da solo non basterebbe forse a rendere la cosa una delle più devote e folli trasformazioni fisiche di Hollywood, se non fosse che il copione successivo per cui fu scritturato, fu quello di "Batman begins" nel quale doveva interpretare la possente figura di Batman, e che lo costrinse a riprendere i 30 chili persi, più altri 20 di muscolatura. Il risultato fu eccellente ed altrettanto credibile, ma tutta questa fisarmonica sulla bilancia gli è costata problemi cronici, anche a suo dire, di metabolismo. 




sabato 18 dicembre 2021

I "piu morti" di sempre sul set. #CineCuriosità

Naturalmente non è l'attore vero e proprio che muore sul set, ma il suo personaggio, ed esiste una particolarissima classifica a riguardo, ossia quella di quante volte la stessa persona si sia ritrovata a leggere che il proprio personaggio sarebbe uscito di scena tragicamente. 

A riguardo, di recente, 2017, (questa volta per davvero) se ne è andato John Hurt, attore britanno, sia di teatro che di cinema e tv. Per tutta la sua carriera, durata più di mezzo secolo, ha ricevuto molteplici complimenti sia dal pubblico che dalla critica, e diversi riconoscimenti. ma non sono le sue gesta sul set il topic di questo articolo, quindi, come è già chiaro a questo punto, egli era uno dei 10 attori il cui personaggio è dovuto morire più volte all'interno di un film, ben 39 volte. 

Forse come dicevano i latini "Nomen omen", ovvero che nel tuo nome, in questo caso specificamente nel cognome, ci fosse già scritto il proprio destino. Ed anche se non può essere preso troppo alla lettera in questo caso, (ne troppo seriamente in generale a dire il vero), perché "Hurt" significa soltanto ferito in Inglese, rimane comunque un presagio dell'area semantica di destinazione.


Di seguito la "classifica" ufficiale di chi abbia dovuto sottostare a tale scelta di copione piu spesso : 

1) Danny Trejo - 65

2) Chrstopher Lee - 60

3) Lance Henriksen - 51

4) Vincent Price - 41

5) Dennis Hopper - 41

6) Boris Karloff - 41

7) John Hurt - 39

8) Bela Lugos - 36

9) Tom Sizemore - 36 

10) Eric Roberts - 35

Ancor piu curioso forse è il caso del film "The Heat - La sfida", dove, si ritrovano a recitare insieme, in una crew di ladri protagonisti di tutta la pellicola, Denny Trejo e Tom Sizemore, ed entrambi.. beh, purtroppo questo è un brutto spoiler, ma una volta che si è a conoscenza dei nomi degli attori di questa classifica, è difficile aspettarsi poi che escano vivi dalle pellicole in cui li vediamo apparire sullo schermo. 

"Pensati sexy" (2024) #Recensione